La prima tappa
del percorso pastorale
(2006-2007)
FAMIGLIA ASCOLTA
LA PAROLA DI DIO
Capitolo Primo
La parola
di Dio dimora in voi
Le comunità e le
famiglie in ascolto
18.
La prima tappa del Percorso pastorale, come emerge dal titolo Famiglia ascolta
la parola di Dio, punta sull’ascolto. Si tratta di ascoltare, anzitutto, la
parola di Dio perché è questa a svelare in tutta la sua bellezza il disegno
divino sulla realtà dell’amore, del matrimonio e della famiglia, in
corrispondenza con i desideri più vivi e le esigenze più profonde che abitano il
cuore dell’uomo e della donna.
In tal senso la
parola di Dio ha la sua eco nelle parole delle famiglie, ossia nell’esperienza
vissuta degli sposi, dei genitori e dei figli, delle famiglie: un’eco che
prolunga la parola di Dio e insieme racchiude un’attesa più o meno cosciente,
anzi una ricerca della parola colta alla sua stessa origine, dentro il mistero
di Dio amore (cfr 1Giovanni 4,16).
Di fronte a
questa “Parola” e a queste “parole” vogliamo metterci in ascolto.
Ascoltare non è
una strategia, ma una condizione umana e teologica fondamentale. Parlare e
ascoltare non sono nell’uomo solo una capacità fra le altre: sono la facoltà che
fa dell’uomo un uomo. Da solo l’uomo non esiste. Esiste solo nella relazione. E
nel suo corpo c’è un organo che è sempre in esercizio, che funziona sempre: è
l’orecchio. Gli antichi saggi di Israele facevano notare che l’uomo ha due
orecchie e una bocca: il tempo dedicato all’ascolto dovrà essere almeno doppio
di quello dedicato a parlare.
Il Dio della
Bibbia è un Dio che parla (cfr Deuteronomio 4,32ss). Ma un Dio che parla
richiede ascolto. In questo sta la differenza tra la preghiera pagana e quella
biblica: non un parlare a Dio, ma un ascoltare Dio. «Ascolta Israele: il Signore
è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore Dio tuo…»
(Deuteronomio 6,4-5). Il punto di partenza è l’ascolto, il punto di arrivo è la
carità. La regola di san Benedetto, prima regola monastica d’occidente, inizia
così: «Ascolta, figlio gli insegnamenti del tuo maestro, apri docile il tuo
cuore» (Prologo, 1).
Se vogliamo
allora metterci in ascolto, ci troviamo immediatamente provocati da tante
domande: che cosa dice la parola di Dio e come ci raggiunge? Quali risposte
possono venire dalle parole delle famiglie a riguardo dei loro problemi e delle
loro attese? Quali significati ha la parola di Dio per la nostra vita? Che cosa
comporta questo ascolto? Quali disposizioni esige e quali sono i suoi frutti?
Queste e altre
domande possono trovare il giusto ascolto e le risposte più persuasive in un
ambito ben preciso: quello di comunità e di famiglie capaci di accoglienza.
1. Chiesa e famiglie, comunità accoglienti
e in ascolto sulla misura del cuore di Cristo
19.
Ogni parrocchia e realtà di Chiesa e, in esse, le famiglie sono chiamate ad
essere comunità di accoglienza, così che chiunque vi si avvicina si senta
desiderato, amato, ben accolto e aiutato a stabilire relazioni significative con
le persone. Tutti devono contribuire a creare un clima di rapporti cordiali e
rispettosi. E il primo passo, la prima espressione dell’accoglienza è l’ascolto.
Come traspare da
ogni pagina del vangelo, erano questi l’atteggiamento e lo stile di Gesù. Egli
sta in mezzo alla gente, la incontra quotidianamente, la ascolta nelle sue
richieste, la previene nelle sue esigenze. E tutto questo ha valore anche in
rapporto alla famiglia nei suoi diversi componenti: genitori, figli, fratelli e
sorelle, bambini e adulti, sani e malati, ecc. Mentre incontra le persone Gesù
ascolta le loro domande, suscita il pentimento e diffonde il perdono, mostra i
miracoli della fede e invita a servire con umiltà, guarisce dalle malattie e
insegna la riconoscenza (cfr Luca 17,1-19).
È lo stesso
atteggiamento e stile che la comunità cristiana e le famiglie sono chiamate a
imitare e a rivivere: ogni giorno, nei riguardi di tutti.
Gesù cammina per
le strade di villaggi e città, ascolta, parla, saluta, si ferma. Nella città di
Nain, incontrando l’esperienza del lutto e del dolore, incoraggia una donna
vedova che piange per la morte di suo figlio. Porta alla vita questo ragazzo e
infonde la pace nel cuore di sua madre (cfr Luca 7,11-17). Anche Giairo, capo
della sinagoga, ha bisogno di Gesù e lo prega di recarsi a casa sua: Gesù lo
ascolta, lo segue, lo libera dalla paura, lo invita alla fede. Di fronte a due
genitori che piangono, prende per mano la loro figlia e la risveglia alla vita
(cfr Luca 8,50-56).
Gesù è
attento alle vicende familiari e le persone sanno che possono contare su di lui.
Marta e Maria, quando il fratello Lazzaro si ammala, mandano ad avvertire Gesù
che il suo amico è malato. Gesù, mai indifferente ai vissuti dolorosi di una
vita familiare, ascolta e interviene. Vuole, infatti, molto bene a queste
persone e per coloro che ama cambia i suoi programmi. Gesù è così capace di
costruire rapporti personali autentici e profondi che va a incontrare i suoi
amici nelle loro case ed è atteso: Marta gli va incontro con premura e lo
accoglie con gioiosa ospitalità, Maria si siede ai suoi piedi desiderosa di
ascoltare la sua parola, Lazzaro offre la sua amicizia. Ora, morto da quattro
giorni, Lazzaro riceve da Gesù la pienezza della vita (cfr Giovanni 11,1-44).
Il
Signore si reca dappertutto, ma spesso sceglie la casa come luogo per annunciare
il Vangelo e donare la salvezza. Nella casa di Simone, il fariseo, Gesù guarda
anzitutto al sovrappiù dell’amore (cfr Luca 7,36-50); di fronte a una donna che
ha peccato coglie immediatamente la tenerezza e il pentimento e non esita a
dischiudere per lei il torrente della misericordia divina: « Egli disse alla
donna: “La tua fede ti ha salvata; và in pace!”» (Luca 7,50).
Gesù
scruta nei cuori e prevede da lontano i desideri della gente. Crea le occasioni
per stabilire incontri e colloqui: ascolta e si fa ascoltare, pone domande
impegnative e difficili e offre molto di più di quanto ci si potrebbe aspettare.
Gesù disse a Zaccheo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Luca 19,9).
Gesù entra con grande libertà in rapporto con la gente e non si preoccupa di un
eventuale giudizio, vuole soltanto il bene delle persone e le conduce a
incredibili conversioni, come è stato per Zaccheo. Ma tutto questo vale anche
oggi quando una comunità e una famiglia sono capaci di trasformare le occasioni
quotidiane di incontro e di ascolto in autentici miracoli della grazia. Gesù
mostra in questo modo che è possibile andare incontro a tutti e che la relazione
umana può essere carica di salvezza per ogni persona e per ogni famiglia. Coloro
che credono nel Figlio dell’uomo possono veramente andare a cercare e salvare
ciò che è perduto (cfr Luca 19,1-10).
Gesù
sta a tavola con tutti, anche con i pubblicani e i peccatori. A lui presentano
tante questioni dibattute, riguardanti anche taluni problemi familiari, come la
questione del divorzio (cfr Matteo 19,3-12) o quella dell’’eredità (cfr Luca
12,13). Egli, sfidando senza paura i pregiudizi sociali e le correnti religiose
o culturali del proprio tempo, è particolarmente attento ai bambini, alle donne,
ai poveri, agli emarginati, ai lebbrosi, agli indemoniati.
Gesù è
l’accoglienza fatta carne. Lo afferma lui stesso quando dice: «Chi accoglie voi
accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Matteo 10,40).
Con queste parole egli ci introduce a cogliere la meravigliosa ricchezza
dell’accoglienza; soprattutto ci fa in qualche modo penetrare nel segreto e nel
mistero divino dell’accoglienza. Il Figlio vive con il Padre dall’eternità il
dono della reciproca accoglienza. Per questo Gesù, parola di Dio fatta carne,
diviene in mezzo all’umanità il segno luminoso dell’accoglienza che il Padre
riserva a tutti e a ciascuno di noi.
E
poiché l’accoglienza si esprime nell’ascolto della parola, il Figlio è colui che
in una intensità unica e del tutto singolare sta in ascolto della parola del
Padre ed è obbediente alla sua volontà, come ci testimonia il vangelo quando ci
riferisce del silenzio e della preghiera di Gesù lungo la notte sul monte,
quando lo presenta nell’atteggiamento di chi invoca il Padre prima di compiere i
miracoli della guarigione del corpo e dell’anima. E Gesù si sente perfettamente
accolto e ascoltato dal Padre: per questo lo ringrazia, come avviene prima della
risurrezione dell’amico Lazzaro: «Padre, ti ringrazio perché mi hai ascoltato.
Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta
attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Giovanni 11.41-42).
In
questa reciproca accoglienza il Figlio e il Padre si pone l’ascolto obbediente
delle parole che sono rivolte a Gesù perché questi le faccia risuonare nel cuore
degli uomini. In questo senso Gesù, prima, anzi per ascoltare meglio le parole
degli uomini – il loro vissuto con tutto il peso delle sofferenze e tragedie
della vita –, ascolta le parole del Padre, come lui stesso ama sottolineare
nella sua missione di salvezza: «Io dico al mondo le cose che ho udito da lui
(dal Padre)» (Giovanni 8,26); e ancora: «Ma vi ho chiamato amici, perché tutto
ciò che ho udito dal Padre, l’ho fatto conoscere a voi» (Giovanni 15,15).
E così
questo mistero di Gesù diventa la sorgente stessa della sua missione di
salvezza: egli ascolta le parole della gente, perché ascolta le parole del
Padre, e queste ultime, che vengono dall’amore di Dio, sono le parole di vita
eterna che egli dona al mondo bisognoso di salvezza.
20.
Se da quanto precede emerge chiara l’esigenza dell’ascolto come espressione
dell’accoglienza, ora l’atteggiamento di Gesù ci fa cogliere la densità
straordinaria di cui è segnato il contenuto dell’ascolto: è l’ascolto di parole
umane, talvolta solo sussurrate oppure gridate, parole di timida invocazione e
di disperazione senza limiti, comunque parole che rimandano ai problemi, alle
fatiche, alle sofferenze, alle tragedie delle persone e delle famiglie. E
insieme rimandano all’esigenza di una parola diversa, più alta, più capace di
dare ragioni di speranza. Così l’ascolto si fa vera e propria partecipazione
profonda delle sofferenze e delle speranze umane, come testimonia la
“compassione” del cuore di Gesù più volte ricordata dal vangelo (cfr Matteo
9,36; 14.14; 15,32; Marco 1,14; Luca 7,13; 10,33).
L’ascolto – pur
così importante per ridare fiducia alla vita – non è fine a se stesso, ma
costituisce un primo dono che si apre a qualcosa di più grande e di più
necessario per l’uomo. Gesù dopo aver accolto nel proprio cuore le “parole”
degli uomini prosegue il suo incontro personale scendendo nell’intimo segreto
dei cuori umani. E così annuncia la “parola di Dio”, la “buona notizia”, il
disegno dell’amore di Dio che libera e salva, che consola e dà forza. Ricordiamo
qui – per semplice accenno – il suo appello alla fede in Dio e al suo amore, cui
abbandonarsi pienamente, prima di compiere il miracolo della guarigione e della
salvezza. Infatti, dopo aver accolto le parole di Marta e il suo grande dolore
per la morte del fratello, Gesù pronuncia la parola assolutamente nuova che
proclama la risurrezione e la vita eterna: «Gesù le disse: “Tuo fratello
risusciterà”. Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell’ultimo giorno”. Gesù
le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore,
vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? ”. Gli
rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che
deve venire nel mondo”» (Giovanni 11,24-27).
Accoglienza,
dunque, è anzitutto ascolto delle parole e della Parola. Proprio su questo
duplice oggetto dell’ascolto vogliamo ora sostare.
2. Alla luce del Vangelo
e dell’esperienza umana
21.
Un’espressione particolarmente felice e ricca della Costituzione conciliare
Gaudium et spes indica il metodo secondo cui affrontare e risolvere i numerosi,
gravi e spesso inediti problemi che travagliano la Chiesa e il mondo di oggi: si
tratta di valutare ogni cosa sub luce Evangelii et humanae experientiae.
«Dopo aver
esposto – così leggiamo nel testo conciliare - di quale dignità è insignita la
persona dell’uomo e quale compito, individuale e sociale, egli è chiamato ad
adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell’esperienza
umana, attira ora l’attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei
particolarmente urgenti che toccano in modo specialissimo il genere umano» (n.
46). E tra questi problemi, il primo affrontato dal Vaticano II riguarda proprio
la realtà della famiglia.
Ora il Vangelo,
di cui ci parla la costituzione Gaudium et spes, sono sì i quattro vangeli, ma
in senso più ampio è il lieto annuncio della parola di Dio che troviamo nelle
Sacre Scritture, come ad esempio si esprime il salmista: «Lampada per i miei
passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmo 118,105). Ma in un senso più
radicale, vivo e personale, il Vangelo è la parola di Dio fatta carne in Gesù.
E, dunque, la vera lampada per il cammino della vita è Gesù stesso, che a tutti
proclama: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8,12). Lui, la Parola eterna di Dio, come
ha preso dimora nel grembo di Maria (cfr Giovanni 1,14), così chiede di poter
abitare nel cuore di ogni uomo, secondo quanto scrive l’evangelista Giovanni ai
giovani: «La parola di Dio dimora in voi» (1 Giovanni 2,14).
Quanto poi
all’esperienza umana, di cui parla il Concilio, essa è riconducibile alle parole
degli uomini, al loro vissuto concreto, con tutto ciò che racchiude e sprigiona.
Non ci deve
sfuggire il fatto che il Concilio sollecita una lettura e una valutazione dei
problemi alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana come di due realtà
profondamente collegate tra loro. È in questione un legame di singolare
reciprocità, perché, da un lato, le parole umane contengono una promessa cui dà
pieno esaudimento la parola di Dio e perché, dall’altro lato, il dono di Dio si
comunica e si trasmette attraverso i linguaggi umani. In realtà, la parola di
Dio assume, purifica, esalta la ragione umana e trascende l’esperienza. È quanto
dice questo splendido testo del Concilio: «In realtà solamente nel mistero del
Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo
uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il
nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche
pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et
spes, 22).
Esiste, dunque,
una feconda circolarità tra il Vangelo di Gesù e l’esperienza umana che esige
che ascolto della parola di Dio e ascolto delle parole delle famiglie siano come
due cammini da percorrere in modo convergente e completo, dall’uno all’altro
sino in fondo. Ci chiediamo pertanto quale cammino sia preferibile: partire dal
Vangelo per leggere il vissuto delle famiglie o da questo vissuto per rileggere
il Vangelo?
Dalle parole
alla Parola
22.
Iniziamo dall’ascolto delle parole delle famiglie: è il passo più immediato,
più semplice, più comprensibile e condivisibile da tutti, praticanti o non,
credenti o non. Dobbiamo avere fiducia perché queste parole rimandano, non
raramente, al vissuto propriamente cristiano delle famiglie, a un vissuto di
fede, di sequela, di comunione d’amore con Cristo.
Ma analoga
fiducia dobbiamo avere quando ci troviamo di fronte al vissuto umano delle
famiglie. In realtà le loro parole hanno dentro di sé la luce della ragione
umana, che è dono grande di Dio; rimandano alla coscienza morale, che «è il
nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la
cui voce risuona nell’intimità propria» (Gaudium et spes, 16). In esse ci sono
il desiderio – più o meno intenso - di cercare il vero e il bene, come pure
l’impegno di essere coerenti anche nelle situazioni difficili per dare
concretezza alla propria maturità morale e spirituale. Vivere così significa
essere in cammino e venir introdotti in una luce superiore, secondo la parola
stessa di Gesù: «Chi opera la verità viene alla luce» (Giovanni 3,21).
Infine, non
dimentichiamo che anche queste parole umane sono raggiunte dalla parola di Dio,
che è Creatore e Padre di tutti, di Dio che penetra in tutti i cuori, anche a
insaputa della persona, persino là dove apparisse qualche forma di rifiuto di
Dio stesso.
Dalla Parola
alle parole
23.
La Parola è Dio stesso che parla. Parla in Gesù, il Verbo fatto carne. E così il
Figlio eterno di Dio, facendosi pienamente uomo, condivide le nostre esperienze.
Egli infatti «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito
con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli
si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato»
(Gaudium et spes, 22).
Ha fatto anche
l’esperienza umana della famiglia, raggiunto dall’amore materno di Maria e
dall’amore di Giuseppe, suo padre secondo la legge. Ha vissuto a Nazaret le
vicende familiari, come la “sottomissione” in casa, il lavoro, la lettura e
l’ascolto delle sacre Scritture, la pratica religiosa familiare, e ha conosciuto
la povertà e l’emarginazione nella sua nascita a Betlemme. Sin da piccolo è
stato ricercato a morte e ha sofferto l’esilio. Ha coltivato l’amicizia sincera
e tenera con alcune famiglie.
Questa parola di
Dio è un singolarissimo dono, che sprigiona per noi luce e forza: luce che ci fa
vedere e valutare la realtà e il vissuto, e forza per accogliere e vivere ogni
parola che viene dal Signore e ogni sapienza umana autentica. E così la Parola
ci si presenta come Vangelo, grazia e promessa, dinamismo e beatitudine. E ci
infonde fiducia, speranza, coraggio, gioia.
Straordinaria e
consolante l’annotazione dell’evangelista: solo Gesù «sa quello che c’è in ogni
uomo» (Giovanni 2,25).
3.
L’ascolto come discernimento
24.
Che significa ascoltare? Può sembrare domanda inutile, tanto dovrebbe essere
ovvio il significato dell’ascolto. Del resto le pagine precedenti l’hanno in
qualche modo già indicato. Ma è proprio l’importanza centrale dell’ascolto come
tratto qualificante la prima tappa del Percorso pastorale che ci spinge a
leggere più in profondità la realtà e il dinamismo di questo atteggiamento del
cuore e della mente.
Ci pare che il
termine biblico e teologico che coglie gli aspetti più originali e pregnanti
dell’ascolto sia quello del discernimento: l’ascolto, cioè, raggiunge la sua
verità piena quando si configura come esercizio di discernimento.
Ancora una volta
ci è di aiuto il Concilio, quando seguendo l’intuizione di papa Giovanni XXIII
parla dei “segni dei tempi”: «È dovere permanente della Chiesa di scrutare i
segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo
adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli
uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto…»
(Gaudium et spes, 4). E ancora: «Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui
crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo,
cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui
prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza o del disegno di Dio...» (Gaudium et spes, 11).
Il discernimento
comporta un duplice e inscindibile elemento: il giudizio e la scelta. È un
criterio di giudizio, ossia di lettura, di interpretazione, di valutazione della
realtà, degli uomini e delle cose, dei grandi avvenimenti e delle vicende
quotidiane, dei valori morali e spirituali e dei problemi materiali, ecc. E
tutti noi possiamo e dobbiamo coltivare simile criterio di giudizio,
appellandoci alla ragione umana illuminata dalla fede, e dunque dall’esperienza
umana e dal Vangelo, per riprendere di nuovo le parole del Concilio.
In particolare
il cristiano, nella luce e con la forza dello Spirito, riceve il dono di
prendere parte al “pensiero di Cristo”, come testimonia umile e fiero l’apostolo
Paolo, lui che ha trattato con singolare profondità la questione della sapienza
divina e umana: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1 Corinzi 2,16). È
ancora Paolo ad ammonirci, come un giorno i cristiani di Efeso: «Se un tempo
eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli
della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose
delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente… Vigilate dunque
attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini
saggi» (Efesini 5,8-11. 15; cfr 1 Tessalonicesi 5,4-8).
Queste parole
dell’apostolo ci introducono al secondo elemento del discernimento: il criterio
di scelta. Si tratta, in forza di un giudizio credente e con l’energia della
«legge dello Spirito che dà la vita in Cristo Gesù» (Romani 8,2) di scegliere e
di decidersi a utilizzare responsabilmente la propria libertà, a renderla cioè
operativa mediante precisi atteggiamenti, comportamenti, opere e gesti. Ed è
quanto avviene là dove c’è coerenza, corrispondenza armoniosa, quasi
un’inscindibile alleanza tra il giudizio e la scelta, tra il “pensiero” di
Cristo e l’“agire” di Cristo, che il discepolo è chiamato a imitare e rivivere
nella sua esistenza con la luce e la forza dello Spirito.
Non ci
soffermiamo ora nel rilevare quanto sia importante affrontare i più diversi
problemi della vita - non ultimi quelli riguardanti l’amore, il matrimonio e la
famiglia - con il discernimento razionale ed evangelico. Tutto ciò è ancora più
necessario oggi considerato il nostro contesto sociale e culturale: «Siamo di
fronte a una mentalità che coinvolge, spesso in modo profondo, vasto e
capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani, la cui
fede viene svigorita e perde la propria originalità di nuovo criterio
interpretativo e operativo per l’esistenza personale, familiare e sociale. In
realtà, i criteri di giudizio e di scelta assunti dagli stessi credenti si
presentano spesso, nel contesto di una cultura ampiamente scristianizzata,
estranei o persino contrapposti a quelli del Vangelo» (Giovanni Paolo II,
enciclica Veritatis splendor, 88).
La
Chiesa e, in essa, le famiglie cristiane sono allora chiamate a implorare la
grazia del Signore e del suo Spirito, che non solo dona la fede e la carità – i
due nuovi criteri di giudizio e di scelta per il cristiano – ma anche “purifica”
la ragione umana e “fortifica” la volontà, e dunque l’autentica libertà,
orientandola con soavità ed energia al vero e al bene, al compimento della
«volontà di Dio», di «ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Romani 12,2).
Così,
identificando l’ascolto con il discernimento, lo stesso ascolto manifesta tutta
la sua pregnanza di contenuto, tutta la sua concretezza operativa, tutta la sua
bellezza e serietà spirituale: ascoltare le parole delle famiglie – abbiamo
detto – è accoglienza, interessamento, partecipazione, aiuto al loro vissuto;
così come ascoltare il Vangelo, il Vangelo vivente e personale che è Cristo
Signore, è credere in Gesù, ascoltare le sue parole, seguirlo, entrare in
comunione di vita, di amore e di destino con lui, camminare nel suo Spirito. Sul
versante cristiano c’è dunque un intimo legame tra l’ascolto e la sequela di
Cristo: l’ascolto è elemento necessario del discepolato cristiano.
Proprio in questa direzione si muovono i due successivi capitoli del Percorso
pastorale di quest’anno: il primo sul “Vangelo della famiglia”, un Vangelo da
accogliere per valutare secondo il pensiero di Cristo, e il secondo sulla
“missione della famiglia”, per vivere, annunciare e testimoniare agli altri
questo stesso Vangelo secondo lo stile operativo di Cristo.
4.
La pratica dell’ascolto
25.
Concludiamo questo primo capitolo con alcune indicazioni operative, che
richiamano brevemente i contenuti e i tempi, le persone coinvolte e le modalità
o condizioni spirituali dell’ascolto.
I contenuti o
luoghi dell’ascolto:
le parole delle
famiglie e la parola di Dio
L’esercizio
dell’ascolto dovrà essere sviluppato e approfondito in rapporto a due contenuti
o luoghi vitali dell’esistenza delle famiglie: l’esperienza umana (le parole) e
la vita di fede (la parola di Dio).
Il primo
contenuto o luogo è la considerazione dell’esperienza concreta della vita e
della realtà umana dell’amore nella vita familiare, così come si presenta nel
contesto sociale e culturale del nostro tempo. Ascoltare significa raccogliere i
vissuti concreti delle nostre comunità, dove le persone hanno un volto, una
storia, una loro collocazione vitale. È importante in questa fase dell’ascolto
cogliere le abitudini, le tendenze, i comportamenti delle persone che si
incontrano ogni giorno e che vivono con noi. Significa interpretare attentamente
tutto quello che si pensa, si discute, si propone – a torto o a ragione - nella
società d’oggi a proposito del matrimonio e della famiglia. Così l’esperienza
umana dell’amore, con tutte le sue possibilità e i suoi drammi, si incontra e si
intreccia quotidianamente con la cura pastorale della Chiesa, delle nostre
comunità cristiane.
Il
secondo contenuto o luogo è, invece, la considerazione di quanto affermano la
parola di Dio e la sapienza cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, così come
ci viene consegnata dalla tradizione vivente della Chiesa ed è vissuta nella
comunità dei credenti. L’amore umano tra l’uomo e la donna, pensato fin dal
principio nel progetto originario di Dio, trova nel sacramento del matrimonio il
luogo della sua pienezza. La Chiesa ha sempre accompagnato con la sua sapienza e
con la sua esperienza la realtà dell’amore e della famiglia e fornisce anche
oggi ai credenti quegli aiuti necessari perché il matrimonio e la famiglia
raggiungano la loro pienezza e la loro fecondità.
Per
affrontare questi due contenuti della realtà umana e cristiana dell’amore, del
matrimonio e della famiglia si potranno opportunamente sfruttare le non poche
occasioni pastorali che vedono una certa circolarità di esperienze e di attività
tra le famiglie, la comunità ecclesiale e la società civile. Innanzitutto, è
buona cosa valorizzare le opportunità che nascono dalla pastorale ordinaria,
vivendo questi momenti con autentica attenzione e partecipazione, condividendo
comunitariamente ciò che da questi incontri emerge, predisponendo iniziative ed
interventi tra loro coordinati e da attuare eventualmente anche nelle prossime
tappe del Percorso pastorale.
I momenti
dell’ascolto: i due tempi dell’anno
26.
L’esercizio dell’ascolto può essere declinato in due momenti durante questo anno
pastorale.
Il primo
momento, dall’inizio dell’anno pastorale fino all’inizio della Quaresima, deve
essere inteso come tempo di ascolto per raccogliere una vivace e ricca
recensione dei racconti delle persone, in rapporto alle diverse esperienze: la
relazione di coppia, l’educazione dei figli, il lavoro, il cammino affettivo dei
ragazzi e dei giovani, il matrimonio e la vita familiare nel contesto ecclesiale
e sociale di oggi. Il racconto e l’esperienza di molte persone faranno
trasparire anche quello che viene recepito dalla parola di Dio e dalla dottrina
della Chiesa a proposito del matrimonio, della realtà familiare e dei compiti
della famiglia nella vita ecclesiale e sociale.
Il secondo
momento si colloca nella parte successiva dell’anno pastorale, dall’inizio della
Quaresima fino all’estate. In questo secondo momento – dopo che comunità e
famiglia hanno cercato di accostarsi al “Vangelo del matrimonio e della
famiglia” - l’ascolto deve essere inteso come una raccolta comune di prospettive
e di proposte, adatte alla propria comunità e al proprio territorio, che
facciano ripartire una pastorale familiare più dinamica, organica e completa, in
conformità alle richieste del Vangelo e aderente alle situazioni e alle esigenze
attuali.
Le persone: i
soggetti dell’ascolto
27.
L’esercizio dell’ascolto, vissuto durante l’anno pastorale nei due momenti
indicati e condotto con la guida sapiente del Consiglio pastorale, potrà
utilmente avvalersi dell’apporto di idee e di esperienza di due categorie di
persone.
Innanzitutto la
prospettiva missionaria che caratterizza il Percorso pastorale ci indirizza
verso persone o gruppi che, pur vivendo la fede, non sperimentano una
particolare frequentazione della comunità cristiana. Sono persone da ricercare
tra i giovani, i fidanzati, i conviventi, le famiglie, i divorziati, tra coloro
che abbiano competenze relative alla famiglia, all’educazione, alla politica
sociale. In questo modo, diamo la possibilità a molte persone, che comunemente
non hanno l’occasione o la possibilità di intervenire, di portare alla comunità
l’apporto della propria esperienza diretta di vita e di fede. Con delicatezza e
coraggio sarebbe opportuno e significativo coinvolgere in questo ascolto della
famiglia anche coloro che sono in ricerca o in crisi di fede o in situazioni
affettive e familiari difficili e sofferte.
In secondo luogo
è indispensabile ascoltare e coinvolgere in questo racconto di esperienza della
vita familiare e di adesione alla Parola tutti coloro che sono in grado di
osservare la realtà familiare dal punto di vista della cura pastorale della
comunità, come i sacerdoti, i diaconi, le persone consacrate, il consiglio
pastorale, gli operatori pastorali dei diversi settori, i catechisti, i
responsabili di gruppi familiari e tutti coloro che già vivono qualche servizio
nella comunità. La responsabilità e il servizio che ciascuno già esercita trova
in questo cordiale e sincero confronto un luogo vero e intenso di comunione
reciproca tra tutte le componenti della comunità. Comunione e missione si
saldano insieme e si rafforzano reciprocamente.
Le modalità: le
condizioni spirituali dell’ascolto
28.
Per attuare una valida pratica dell’ascolto sono necessari alcuni atteggiamenti
virtuosi che aprono a un’autentica sensibilità evangelica, sia individuale sia
comunitaria, con cui affrontare i vissuti della vita familiare e le indicazioni
della proposta ecclesiale: quasi una spiritualità dell’ascolto.
Grazie a tali
modalità interiori ed esteriori ci si rapporta e si interagisce con le altre
persone: singoli o coppie di sposi, uomini o donne, giovani o adulti, persone di
condizione e appartenenza sociale e culturale diverse, persone conosciute o non
conosciute, presenti in modo assiduo alla comunità o solo saltuariamente...
Tra le modalità
più significative per aprirci all’ascolto indichiamo la custodia del silenzio,
la gioia della gratitudine, il cuore misericordioso e lo spirito di preghiera.
In tutte le
occasioni in cui quest’anno, attraverso uno scambio reciproco, ci troveremo ad
ascoltare la vita delle persone, le situazioni delle famiglie e le indicazioni
della parola di Dio, dobbiamo amare e custodire il silenzio. Forse potrà
sembrare paradossale, ma per ascoltare gli altri occorre anzitutto ascoltare sé
stessi. E ci si ascolta nel silenzio, ossia rendendoci davvero presenti a noi
stessi e a ciò che facciamo, imparando a conoscerci e a dare un nome a ciò che
ci abita, senza scandalizzarci del male che possiamo trovare. Abbiamo bisogno di
solitudine interiore per aprirci agli altri: «Nella solitudine, tu ti vedi; e
non vedi ciò che ti è esteriore. Finché guarderai altrove, non ti vedrai mai»,
diceva Isacco il Siro (Lettera a un fratello sull’amore della solitudine).
È necessario
custodire il silenzio perché il silenzio custodisca la nostra interiorità. Scava
nel profondo del nostro “io” uno spazio per farvi abitare il “tu” dell’Altro e
per ascoltare la sua Parola. Un mistico siro-orientale del VII secolo, Giovanni
di Dalyatha, diceva: «Fa’ tacere la tua lingua affinché il tuo cuore sia calmo,
e fa’ tacere il tuo cuore affinché lo Spirito parli in lui» (Omelie sui doni
dello Spirito). Nello steso tempo il silenzio scava nel profondo per farvi
abitare il “tu” degli altri e ci dispone a un ascolto attento, intelligente,
cordiale e saggio.
Nell’incontro,
nell’accoglienza e nell’ascolto degli altri siamo chiamati a possedere un animo
riconoscente, a coltivare la gioia della gratitudine. Molto spesso la maturità
di una persona o di una comunità si esprime attraverso il suo spirito di
gratitudine di fronte a tanta ricchezza di grazia e di amore che il Signore non
si stanca di riversare nei cuori umani e nelle vicende della storia. Siamo
dunque chiamati a ringraziare Dio, il datore di ogni bene, ma anche i fratelli
per il bene che compiono e per la ricchezza spirituale che in tal modo offrono
agli altri. È un dono dello Spirito il renderci conto di tutto quanto abbiamo
ricevuto e riceviamo: le grazie del Signore sono sempre più numerose e preziose
dei limiti e delle colpe nostre e dell’umanità.
La vera
gratitudine è capace di criticità, di coraggio, di innovazione, di profezia. E
sa intraprendere tutto questo con intelligenza e determinazione, con
perseveranza e serenità. Le nostre comunità siano comunità in cui, nonostante i
veloci cambiamenti e le fatiche quotidiane, ci si rende conto del sacrificio e
del dono che molti fratelli e sorelle - in ogni vocazione e stato di vita -
offrono ogni giorno al Signore come culto spirituale (cfr Romani 12,1-2) nella
prospettiva di edificare il Regno di Dio nella storia, di cooperare alla
diffusione del Vangelo (cfr Filippesi, 1,3-8).
Per praticare
l’ascolto e per entrare in sintonia con il vissuto degli altri è necessario un
cuore misericordioso, senza asprezza, senza giudizio, senza condanna, senza
intolleranza. Il cuore misericordioso ama e proclama la verità, ma lo fa con
amore e per amore, specie quando la verità è particolarmente esigente. Il cuore
misericordioso è innanzitutto cosciente del fatto che ciascuno di noi attraversa
le sue difficoltà, conosce le sue povertà, sente il peso dei propri peccati. Per
questo lascia a Dio solo il giudizio insindacabile sull’agire umano (cfr 1
Corinzi 4, 3-4).
Riascoltiamo le
parole di Paolo VI rivolte ai sacerdoti nel loro ministero verso gli sposi e le
famiglie: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma
di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la
bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini.
Venuto non per giudicare ma per salvare (cfr Giovanni 3,17), egli fu certo
intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone» (enciclica
Humanae vitae, 29).
Un cuore
misericordioso sa riconoscere le diversità che ci sono nella storia e nella vita
delle persone e delle famiglie, sa correggere e perdonare, incoraggia sempre e
valorizza anche la più piccola briciola di bene.
Un cuore
misericordioso fa crescere la comunità e aiuta i suoi fratelli a vivere
l’autentica carità (cfr 1 Corinzi 13,1-13), ciascuno nella propria vocazione,
con umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportando a vicenda con amore e
conservando l’unità per mezzo del vincolo della pace (cfr Efesini 4,1-3).
Infine, è
possibile veramente ascoltare soltanto se si coltiva un profondo spirito di
preghiera. Il cammino che intraprendiamo insieme quest’anno dovrà essere
accompagnato da un’abbondante preghiera personale e comunitaria.È, infatti, nel
rapporto superlativamente personale e amicale con Gesù e nella preghiera comune
della Chiesa che ci sarà dato di riscoprire e di apprezzare la verità e la
bellezza della vita e dell’amore, di individuare i passi da compiere, di
ricevere dallo Spirito la forza per superare le nostre difficoltà e per
affidarci a lui, che viene in aiuto alla nostra debolezza e sostiene la nostra
perseveranza (cfr Romani 8, 24-27).
La preghiera ci
introduce nel cuore di Dio e crea uno stile di ascolto reciproco: a Dio noi
rivolgiamo la nostra parola e lui dona a noi la sua parola. E ciò è decisivo per
l’ascolto delle parole degli uomini. Infatti, solo se e nella misura in cui
nella preghiera rimaniamo in ascolto della parola del Signore, potremo ricevere
la grazia di ascoltare a nostra volta – e con il cuore stesso di Dio – le parole
delle persone e delle famiglie.